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WORKSHOP "INDUSTRIA BELLICA E DIRITTI UMANI", MILANO 9 FEBBRAIO 2023

A causa della natura dei suoi prodotti e servizi, il settore dell’industria bellica è particolarmente esposto al rischio di causare e contribuire a causare gravi violazioni dei diritti umani. Per far fronte a tali rischi, gli Stati hanno adottato, norme nazionali e internazionali che perseguono l’obiettivo di non autorizzare esportazioni di materiali di armamenti che possano essere usati in violazione dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario. Tale quadro normativo è costituito, in particolare, dal Trattato sul commercio delle armi del 2014 (Arms Trade Treaty), dalla Posizione commune EU sull´esportazione di equipaggiamento militare del 2008 e, per qunato riguarda l’ordinamento italiano, dalla legge Nr. 185/1990.


Nonostante tale quadro normativo, i governi e le imprese che producono armi continuano ad autorizzare e ad esportare armi verso Paesi dove sussiste un serio rischio che tali armi vengano utilizzate per commettere gravi violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale, tra cui potenziali crimini di guerra. Un esempio è rappresentato dal conflitto in corso in Yemen. Nonostante i resoconti del rischio di crimini di guerra commessi da parte della Coalizione a guida suadita, governi e imprese europee, hanno continuato ad esportare armi verso l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, contribuendo in tal modo al conflitto. L’Italia non fa eccezione con un rilevante coinvolgimento nel commercio di armi con le autorità di quel Paese.


Due principali fattori sono alla base di questa prassi. Il primo consiste nell’assenza da parte degli Stati di una reale volontà di assicurare il rispetto dei diritti umani quando autorizzano l’esportazione di armi. A causa dell’ampia flessibilità degli strumenti internazionali in materia, gli Stati godono di un ampio margine di apprezzamento per valutare quando ricorra il rischio di gross violation dei diritti umani: ciò facilità scelte non conformi con il diritto internazionale umanitario e le limitate conseguenze sanzionatorie per gli Stati. Il secondo fattore è collegato alla mancata applicazione del quadro in materia di imprese e diritti umani al commercio di armi. Con riferimento alla condotta delle imprese che producono armi, esse tendono ad evadere l’applicazione nei loro confronti dell’obbligo di due diligence si diritti umani sosgtenendo che le licenze di esportazione governative, conterrebbero già un risk assessment. Ciò avviene anche quando vi sono informazioni chiare in possesso dei vertici aziendali che le armi possano potenzialmente contribuire alla violazione dei diritti umani. Il problema è che il controllo governativo sulle esportazioni non può essere consideato un sostituto della due diligence aziendale: i Principi Guida su Imprese e Diritti Umani si fondano sul principio di autonomia e indipendenza della responsabilità delle imprese di rispettare i diritti umani rispetto agli obblighi statali in materia. Insomma per riprendere i Principi guida tale responsabilità delle imprese “esiste indipendentemente dalle capacità e/o dalla volontà degli Stati di adempiere I propri obblighi in materia di diritti umani, e non limita in alcun modo tali obblighi”.


Il workshop intende analizzare la specifica situazione dell’Italia, Paese in cui pende un procedimento penale contro l´impresa RWM S.p.A e l'Unitá Autorizzazione Materiali d'Armamenti per le esportazioni di armi usate nella guerra in Yemen. Obiettivo dell’evento è

verificare alla luce della prassi e del quadro normativo summenzionati se e come una direttiva europea obbligatoria sulla human rights due diligence possa contribuire a colmare i gap di regolamentazione, aiutando a prevenire e mitigare le violazioni dei diritti umani che avvengono nell’ambito delle operazioni commerciali dell’industria bellica, e a fornire delle vie di accesso a dei rimedi per le vittime.








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